1924.
Filomena ha 16 anni. Si innamora di un bel giovane che canta “cor e signor” e resta incinta, quindi si sposa.
A 16 anni.
Ma la bambina nasce morta.
Da allora Filomena mette al mondo altri 16 figli, tutti vivono e crescono in salute, a dispetto della povertà, della guerra, delle malattie e del fatto che le altre famiglie accompagnano almeno un bambino al cimitero.
Un giorno, la giovane Filomena esce per comprare qualcosa e nel vicolo la gente si prende gioco di lei, additandola come quella che fa tanti figli. Da allora Filomena non è mai più uscita di casa. Per tutta la sua vita fertile ha fatto solo figli, e poco altro, uscendo al massimo nel cortile, ben protetta dal portone esterno.
In questo piccolo aeroporto sto aspettando un aereo che mi porterà a Papeete.
E’ il terzo che prendo in quattro giorni; sono a Bora Bora, probabilmente il posto più lontano da casa in questo mio giro del mondo.
E il mio pensiero va a Filomena che ha vissuto una intera vita in casa. La storia le scivolava davanti. Ha vissuto due guerre. Durante la seconda lei aveva già 8 figli e quando suonava l’allarme bombe doveva solo scendere una rampa di scale che la portava nella grotta sotto casa. Mussolini le dà un premio per aver dato figli alla patria, ma lei non sente la necessità di uscire per ritirarlo, le basta guardarlo nella cornice, e usarne i soldi per comprare qualcosa. Non doveva uscire per fare la spesa: i vestiti non servivano, nemmeno ai figli che indossavano costantemente i grembiuli della scuola, e per quel poco che si poteva comprare da mangiare, poteva uscire la cognata. Sì, perché questa ragazzina di 16 anni, ha tenuto in casa anche i due suoceri e i due cognati!
I giorni sono passati comunque, tutti uguali, ma sono passati. Bisognava fare un po’ di bucato a mano e cucinare un po’ di fagioli, la domenica la carne, e i carciofi sulla brace, una volta all’anno ammazzare il maiale e un’altra fare la salsa per tutti tra le urla festanti dei bambini.
Il mondo veniva da lei. Con la prima televisione Filomena vede che in quella scatola c’è gente che parla, con uno strano gelato in mano che non si squaglia mai.
Io dovevo chiamarmi Filomena, come mia nonna, ma mia madre non ha voluto: perché dare alla propria figlia un nome brutto solo per onorare una tradizione?
Mia madre lamentava l’anaffettività di Filomena, e io l’ho provata personalmente. Ma tra Filomena e me passano due generazioni, ed io con la lente del distacco riesco a vedere una ragazzina di 16 anni, rimasta tale per sempre, con lo sguardo spaurito e il sorriso bonario di chi non ha idea di cosa ci sia oltre la propria porta di casa.
Ma io credo che dentro di lei, avrebbe voluto uscire e scoprire il mondo aldilà del il vico Miciano. Ho visto i suoi occhi le uniche 3 volte che è uscita di casa. Mio padre ha portato Filomena a teatro: a vedere la traviata al San Carlo e a vedere Eduardo al San Ferdinando. Filomena ha indossato il cappotto col collo di pelliccia sintetico e un grosso fiore in petto, per sedersi in questi luoghi magici. Ed una volta ha persino percorso 200 km in auto: papà l’ha portata a Tricarico per la mia prima comunione!
Poi basta.
Porto un po’ di Filomena nel mio sangue, nel mio dna, la porto in giro per il mondo. Perché fuori dal vico Miciano c’è il mondoe forse Filomena lo sapeva.