19 aprile

Sono nata in aprile, qualche anno fa.

Intorno al 68, sono nata contestando.

In un paese che sentivo stretto e che mai avrei immaginato sarebbe stata la mia residenza per sempre, dove risuonavano da lontano gli echi delle manifestazioni studentesche prima e del terrorismo poi.

Un paesetto lucano in frantumi, già nel 1940.

Tutta l’infanzia e l’adolescenza passate a sorbirmi lezioni e/o manifestazioni su Rocco Scotellaro e su mons. Raffaello delle Nocche.

C’era la guerra fredda, c’era il muro di Berlino, c’erano i comunisti (quelli veri che mangiavano i bambini), c’era la democrazia cristiana, c’erano le correnti della democrazia cristiana.

E c’era don Gaspare.

Tra i milioni di impegni che portava avanti per il bene della sua comunità infervorandosi come una pentola a pressione, don Gaspare sentiva su di sé l’obbligo di onorare la memoria di monsignor Delle Nocche, che per noi ragazzini dell’oratorio era una presenza inquietante, lui ci guardava dall’enorme ritratto  a figura intera che campeggiava in parrocchia.

E così si veniva trascinati da una parte e dall’altra: la chiesa organizza un convegno sul vescovo? I comunisti un’assemblea sul poeta contadino. Un film su Rocco Scotellaro? Esce un libro sul monsignore.

Mi vogliano perdonare ora che sono nel regno della verità, ma per tutta la mia adolescenza ho odiato entrambi, rifiutandomi di leggere alcunché, costretta insieme a centinaia di coetanei brufolosi a vedere in assoluta scomodità a scuola  filmati e documentari di cui non potevamo capire nulla. Ho odiato Rocco e i suoi fratelli e Bruno Cirino e Carlo Levi col suo Cristo che mostrava al mondo il degrado della mia terra di cui gli adulti inspiegabilmente andavano fieri.

Sono cresciuta.

Ho faticato molto per ricostruire quello che gli adulti-educatori di allora, in buona fede, avevano distrutto nel mio animo.

Ho chiesto a mio padre, a mia suocera, ho chiesto chi fossero stati realmente questi due, mi hanno raccontato aneddoti e testimonianze vive e sincere.

Ironia della sorte a Matera la prof di matematica è originaria di Tricarico. La prof più odiata e temuta dagli studenti di tutte le generazioni del Duni. Ma noi avevamo la carta vincente: Monsignore Raffaello delle Nocche. Lei era stata una sua figlia spirituale, così quando i compagni temevano particolarmente le interrogazioni mi mandavano a chiedere qualcosa di questo sant’uomo e la Trufelli si trasfigurava raccontando episodi della vita di lui.

E poi internet mi avvicina ad Antonio Martino, amico carissimo di mio padre, tra gli ultimi viventi che possono vantare un’amicizia vera e sincera con Rocco, che per ricordarlo tiene un blog (http://www.prodel.it/rabatana/?p=5349774). Con Antonio mi sento ogni tanto, ora anche a telefono, scambio chiacchiere struggenti e accorate su mio padre, su Tricarico e sul tempo che fugge inesorabile.

Oggi, grazie a questa personale ricerca, so chi erano questi due personaggi onnipresenti nella mia infanzia, e so che erano due giganti, che hanno anche collaborato, come nel caso della creazione dell’ospedale, per far progredire un paesello in frantumi. Ci avevano lasciato un paese vitale e in crescita demografica, lo abbiamo reso un paese morente dove nascono qualche decina di bambini all’anno mentre centinaia di giovani adulti vanno via per sempre.

Solo oggi scopro che entrambi erano nati il 19 aprile. Da qualche anno il 19 è il mio numero, il numero delle cose più importanti, più tristi e più belle. Se la cabala vuol dire qualcosa, vorrà dire che ricomincerò a studiare questi due personaggi.

Ora che la guerra fredda è finita e che siamo orfani di ideologie forse è arrivato il momento di rivedere la storia di questi due giganti e di dare loro il giusto posto che occupano, forse finalmente è arrivato il momento di studiare il poeta Scotellaro, che contadino non è mai stato, e apprezzarlo per la musicalità dei suoi versi, come questi che amo particolarmente:

I miei segreti, il mio male

canta l’uccello siepale.

Quando piove uno pensa

inghiottito in una stanza

e non gli può bastare compagnia.

Amata ragazza mia,

m’hanno permesso la vita che meno

vedendoti comparire

sotto la luce dell’arcobaleno.

 

 

 

 

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