La parabola del palloncino

Svuotata.

Come un pallone aerostatico dopo il suo viaggio.

Lui sta lì per terra, sgonfio, enorme, stanco.

Qualcuno si preoccupa di sistemarlo e controllarlo prima di riporlo.

Ha sfiorato le nuvole, ha visto prati fioriti e bambini in bicicletta, volava leggero su mari e fiumi, volteggiando sui tetti, ed ora è solo un enorme ammasso di tela e funi per terra.

Su questo traghetto sono un palloncino svuotato.

Stanca. Di tutta la stanchezza accumulata in 5 mesi.

Assonnata, per tutte le ore di sonno perse.

Affamata per tutti i pasti saltati.

I piedi dolenti per tutti i chilometri percorsi.

“Ho fatto il giro del mondo”

“Perché?”

Gli spiego di Ida, così il comandante immediatamente mi aggiunge su facebook.

La risposta è veloce e automatica.

Ma “perché” ora non lo so.

Ora sono il palloncino senza elio, il pallone senza aria calda.

Non ero io

Non può essere

Passeggio di notte sul Gange, dormo in una stanza con 10 persone, guido una macchina in Oman, prego in una moschea in Iran, litigo con un indiano che vuole dividere il letto con me sull’autobus, nuoto a Bora Bora, vedo i Moai all’alba, un letto d’ospedale, un hotel a Dubai, una tenda a Moorea, bevo chai per strada, a cinema a Jaipur, a Persepoli con Magdalena, in treno a Colombo, amici amici amici.

Un’altra nave mi ha fatto risalire il Cile e mi ha procurato nuovi amici. Era l’inizio, e prima di imbarcarmi avevo avuto il referto della mammografia dall’Italia. Sapevo che sarei andata in clinica non appena scesa, ma era diverso. Ero terrorizzata. Ed ero felice. Qui ora su questa nave che mi porta a casa non ho paura, non sono triste, ma non sono felice.

Come un palloncino sgonfio, semplicemente non sono.

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