Prima classe.

Questo articolo non ha foto. Tutti mi hanno detto che il blog funziona solo se scrivi poco e metti molte foto (belle). Pazienza. Ci ho provato, e ci proverò, belle non garantisco, ma molte le faccio.

Ma questo articolo resta così, nudo, spoglio, come l’India, e ricco dell’ immaginazione che solo l’India può regalare.

5,30 del mattino, il caldo è ancora sopportabile, supero senza difficoltà tutti quanti dormono in terra in stazione, evito di guardare chi vomita temendo che già lo sguardo possa contagiarmi la delhi belly, raggiungo il mio  binario e via.

Sono sul treno che mi porta da Delhi a Jaipur. 275 km, 4 ore e mezza, 13 euro. Prima classe: pulito, spazioso, aria condizionata, prese per la corrente, acqua in bottiglia, limonata, biscotti, pane burro e marmellata, uova appena cotte e tè a volontà.

Insieme al mio parte un altro treno e per 5 minuti percorriamo la stessa direzione. Sporchissimo, gente ammassata,  uomini seduti sugli scalini esterni, bambini aggrappati alle sbarre di finestrini senza vetri.

Ci guardiamo. Non so chi di noi due  sia l’animale da zoo, non so cosa pensino di me questi bambini che mi fissano con enormi, meravigliosi occhi neri, sporchi nei loro abiti colorati, di domenica mattina alle 6 già su un treno che li porta chissà dove. Guardano la prima classe, vedono gente pulita,  che legge e mangia, vedono altri bambini vestiti con le magliette della disney che giocano e fanno i capricci mentre mangiano patatine, non devono aggrapparsi alle sbarre per evitare di cadere loro,  hanno grandi poltrone morbide, una per ciascuno, che spreco!

A ridosso della stazione, le case di quei bambini dove la vita inizia freneticamente alle 6 del mattino, la gente si lava per strada con secchi di acqua non potabile, qualcuno si lava i denti, un vecchio si insapona da capo a piedi, chi urina, chi defeca, tutto sui binari, e dove potrebbero altrimenti? Una mamma, sul binario, lava amorevolmente il figlio con una bottiglia, e io mi ricordo che oggi è il giorno della festa della mamma, e guardo la donna seduta a fianco a me che amorevolmente cura la figlia, la nutre, la fa giocare, la asciuga mentre dorme e la riempie di borotalco.

L’amore delle mamme è lo stesso, ma quanta fatica costa essere mamma se vivi su un binario in una “casa” di 2 metri quadrati, con  una scala a pioli appoggiata al muro per uscire in strada, con un tetto di stracci, senza bagno, e senza soldi per comprare l’acqua potabile?

Oggi è la festa della mamma e davanti  a quei bambini che forse immaginano un futuro in una carrozza di prima classe o forse non sperano già più in niente, io capisco dolorosamente quanto siano idiote le paranoie su come cresciamo i figli,  sulla quantità di affetto che gli diamo, sui sensi di colpa che ci portiamo per aver fatto piangere il bambino un minuto di più, sul dolore di non essere mai state all’altezza del ruolo. Insignificanti. In un momento, tutti gli enormi problemi di cui siamo imbevuti nella nostra quotidianità occidentale diventano ridicoli, inutili, e fastidiosi.

Ed è un bel dire sì ma noi viviamo qui e questi sono i problemi del nostro mondo. Davanti alla scena di due bambine di 4-5 anni che alle 6 del mattino di domenica rovistano sopra un cumulo di spazzatura, contendendosi lo spazio con due grossi maiali neri, veramente l’unica cosa che capisci è che hai vissuto 50 anni, creandoti da sola problemi inesistenti.

L’india ti spacca il cuore.

Sono qui da 5 giorni, e non ho ancora capito dove sono.

Sono qui da 5 giorni e ho la sensazione che il mio viaggio non sia ancora iniziato, e non so se inizierà prima che partirò.

L’India ti scalda il cuore.

Quando vedi un vecchio seduto sul binario aspettare il passaggio del treno di prima classe solo per guardarlo  con occhi sognanti, quando vedi i colori di cui si vestono le donne, di qualunque ceto sociale, quando vedi le persone che lavano i panni sbattendoli energicamente sul bordo del fiume, mentre sono circondati da coloratissime tele stese ad asciugare, quando vedi che il treno deve rallentare e fermarsi per aspettare che la mucca decida di andare via da sola, e capisci che qui non metteranno mai i treni senza pilota, sarebbe impossibile salvaguardare la vita di decine di persone che vivono sui binari e delle mucche che ci vanno a passeggiare.

E io su questo treno vorrei dormire, perché sono due giorni che mi alzo alle 4, ma non ci riesco, perché gli occhi non si saziano.

E vorrei fare le foto, ma non ne faccio, per pigrizia, par paura di cacciare la macchinetta dallo zaino, per pudore.

Perché  non è vero che l’immagine spiega meglio, e perché le foto non rispettano niente e nessuno, vendono ad un’ asta al ribasso momenti preziosi di intimità.

Sono in India da 5 giorni e non sono pronta a fare foto vere.

E’ più facile fotografare il taj mahal sotto un sole che ti spacca la testa mentre la colonnina di mercurio segna 45 gradi, che fotografare gli occhi di quelle bambine stando seduta qui comodamente al fresco.

…l’India

9 commenti su “Prima classe.”

  1. Grazie.
    L’india te la raccontano tutti e la vedi sui tabloid, fino a che un giorno non ci arrivi e io ho provato a descrivere quello che vivo, e ho pensato che volevo farvi arrivare almeno una parte di quello che sto provando. Da quello che leggo ci sono riuscita.
    L’india è come l’Africa, forse non vedi l’ora di andartene, ma non vorresti lasciarla mai più.

  2. Grazie, Loredana. So che sono ancora tantissime le cose da raccontare… Ma con questa “Prima classe” hai fatto un gigantesco passo verso un viaggio più profondo…
    Veramente un bellissimo pezzo! Continua così ☺

  3. Riflessioni profonde, che toccano davvero le corde più nascoste del nostro cuore e che ci danno riflettere….grazie per avermi commossa ….un abbraccio. Luisa

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